Questo signore è una cima. Non da ora. Questo aretino è avanti ad altri, perlomeno dagli Anni ’80. Forse anche da prima. Ma da una quarantina di anni di sicuro è letteralmente una cima. Mica perché è in possesso di chissà quale superpotere soprannaturale. Anzi, al contrario: si limita a guardare le cose dritte in faccia.
Esagerando tanto per capirci, potremmo dire che se l’altra sera gli avessero dato retta i grandi giornali americani, tutta la stampa d’Oltre Oceano l’avrebbe scampata dal collezionare un’altra figura cacina, invece puntualmente accumulata anche stavolta dettando la previsione su chi andava alla Casa Bianca tra la Clinton e Trump. Ma se gli opinionisti di professione avessero attinto al sesto senso dell’aretino Silvio Simi stavolta si sarebbero riabilitati. Il suo è meglio del miglior sondaggio, in politica estera, nello specifico, in politica interna, in generale. Ed è un sesto senso che non va a naso, ma guardando in faccia le cose.
Lo segnalo da l’Ortica non perché lo voglio incensare ma perché dirvi di Simi mi permette di dire un altro concetto che mi interessa di dire. Questo: siamo circondati da tanti che guardano in basso, da altri che guardano a lato, da molti che guardano dietro. O perché?, come mai non ce ne sono altrettanti come questo signore che guarda avanti e sa dirci dove andiamo, guardando in faccia le cose?
C’era ancora la vecchia Democrazia Cristiana in via Cavour quando il Simi si stabilì, un paio di portoni più in giù dalla sede aretina dello Scudocrociato. Lì fondò una “cosa” innovativa che battezzò Alleanza Democratica. O che è?, tanti domandarono. Poi s’è visto che era: un laboratorio politico avanti di decenni sulle trasformazioni che dovevano poi intervenire in tutte le forze politiche del Novecento. Successe, anche, che un sangue blu della politica nazionale, che si chiamava Mariotto Segni e così continua a chiamarsi, lo copiò, con qualche anno di ritardo imitò il Simi. Di Segni, il quale diceva di avere in mano le idee per ribaltare il Paese, si persero le tracce. O meglio, le orme dell’Elefantino in groppa a cui saltò con quello spilungone di Fini. Del Simi, invece, si continuò a parlare nelle capitali italiane di politica cultura economia. Ad esempio, egli è stato parte creativa di una delle riviste politiche più prolifiche degli ultimi 50 anni. Si chiamava Liberal. Leggendola in tanti hanno imparato a fare politica con le idee nella zucca. Non con le ambizioni nella pancia.
Di recente, lo scrittore aretino Tito Barbini, già politico di lungo corso, gli ha dedicato una pagina del suo ultimo libro, riproponendo una intervista di ben 40 anni fa de La Repubblica a Simi.
E nella foto che vi proponiamo lo si vede intervistato sul progetto Arezzo, Città Liberale.
Tornando alla stretta attualità delle presidenziali americane, che è un oggi in cui nessuno neanche dei grandi columnist americani, incaricati di dire come sarebbero andate le cose tra Hillary e Donald, è stato capace di azzeccare il pronostico, il Simi lo ha azzeccato in pieno. E mentre dal Wall Street Journal al Washington Post fino al NY Times, non ce n’è stato uno che non fosse obnubilato nella partigianeria per la Clinton, tanto da prestare cieca fede nei sondaggi, questo signore aretino non si è smentito nella sua vocazione principale. Quella di dire sempre come stanno le cose. Guardandole in faccia. Da tempi non sospetti sosteneva: vince Trump. E Donald ha vinto. Lui è una cima. La stampa è cacina.