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Il giro d’Italia farà tappa ad Arezzo nel 2018: arrivo in volata sul rettilineo del sottopasso

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La notizia era nell’aria: da giorni quelli della rosea si erano fatti vivi in città per un sopralluogo sulle strade più adatte per l’arrivo di tappa del giro d’Italia del 2018.

Escluso un altro arrivo davanti al Comune e al Duomo, con uno strappo troppo duro per i corridori da san Clemente, troppo ripetitivo quello in fondo a via Giotto, con il rischio tra l’altro di trovarla allagata per i tombini intasati, troppe toppe in via Raffaello Sanzio, troppo sole in viale Michelangelo con i lecci che va a capire che fine faranno dopo l’assalto delle motoseghe, troppo casino in piazza Guido Monaco con gli storni che andranno a dormirci dopo lo sfratto delle motoseghe da viale Michelangelo, alla fine quelli della rosea si sono messi a studiare le piste ciclabili.

sottopasso-barriereHanno contato quanti ciclisti le usano, per capire se ci poteva arrivare anche un plotone in volata. Di ciclisti ce n’erano, ma da nessuna parte quanti ne hanno trovato a correre tra un paletto e l’altro nei marciapiedi del sottopasso di Via Vittorio Veneto.
Deciso: l’arrivo di tappa si farà sul rettilineo del sottopasso subito dopo i paletti. Così non ci sarà neanche il problema di trovare un posto per gli spettatori disabili.

Quelli mica sono come i ciclisti: non si divertono per niente a girare intorno ai paletti e meno ancora a farsi aiutare per scavalcarli. Viva il giro d’Italia che torna sui luoghi della memoria del vecchio stadio Mancini, dove Bartali prese a cazzotti Luciano Maggini che aveva vinto in volata e gli aveva tolto l’abbuono.
In fondo anche allora c’erano i paletti del passaggio a livello che si alzavano e si abbassavano per impedire alla gente di finire sotto il treno. Ora il treno passa sopra, mica dà noia ai ciclisti

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Campano a martello
Campano a martello
Niente paura: il campano di Palazzo Cavallo ha suonato a martello una volta sola, e per sbaglio. Successe il 16 luglio 1944 quando per festeggiare la liberazione di Arezzo, chi salì sulla torre, era troppo felice per pensare ai significati dei rintocchi. Bastava che il campano tornasse a suonare. Anche ora il campano vuol suonare come quel giorno di festa: agli aretini di allora bastò che suonasse, non importa se a martello, per sentirsi finalmente liberi. Perché non dovrebbe bastare anche agli aretini di oggi che suoni a martello anche per sbaglio, purchè risvegli la città dal sonno e festeggi una nuova conquista di libertà?
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