OGGI 17 gennaio è la festa degli animali, quelli veri, non gli umani che si fanno bestie.
Vi propongo un ricordo di come un animale può incidere così tanto nella nostra vita.
C’era un buffo cane che dormiva da alcuni giorni nella piazzetta sottostante la mia abitazione.
Dal pelo raso, rosso fulvo, sembrava l’incrocio tra un segugio e, vista l’altezza, un bassotto.
Una cicatrice sul muso faceva intendere chissà quali avventure, ma quando camminava si capiva chiaramente che qualcosa di grave aveva interrotto la sua attività di cane da caccia ed i suoi rapporti con il padrone.
La mattina ero solito salutarlo ma un pomeriggio che dissi qualche parola in più, lui, forzandone l’interpretazione, saltò sulla mia auto, si sistemò sotto il sedile anteriore ed ansimando sembrò dire “andiamo”.
Facemmo una passeggiata lungo le rive dell’Arno e Flek, così lo chiamai, sembrava impazzito nel correre ed abbaiare a chissà chi.
Dovevo convincere i miei genitori ad ospitarlo in casa ma, nel frattempo, le mattine successive diventarono un inferno.
Flek mi aspettava ad ogni angolo ed io, nella fretta di arrivare al lavoro, al mattino si sa è sempre una corsa, lo imploravo che, sì, ne avremmo parlato nel pomeriggio.
Ma una mattina che, nonostante i miei tragitti per seminarlo, me lo ritrovai di fronte al portone della azienda dove lavoravo, capii che oramai lui aveva deciso.
Lo sottoposi a delle radiografie che evidenziarono la presenza diffusa di pallini da caccia in varie parti del corpo: un cane inutile avrebbe detto un cacciatore; un cane che segnò, invece, i miei anni successivi.
Mi accompagnò in gran parte delle mie escursioni, in montagna ed al mare, quando ancora era relativamente facile far accettare un cane, soprattutto nei campeggi.
Nonostante il suo lieve zoppicare cercava sempre di essere all’altezza della situazione.
Non capiva perché quelle maledette porte magnetiche dell’auto-grill si aprivano al mio passaggio mentre lui, ad altezza inferiore delle cellule fotoelettriche, ci sbatteva inevitabilmente il muso.
Un giorno mi divertivo con un grosso lassie a strattonare una gomma e quello ringhiava per gioco.
Flek, credendomi in pericolo, si sentì in dovere di intervenire e con un salto, inusuale per le sue possibilità, balzò in groppa al lassie ricadendone malamente ed ancora più malconcio, ma soddisfatto per avermi “salvato”.
Chi ha tenuto un cane fino alla fine sa gli impegni e i sentimenti che questo comporta.
Le cataratte calate, l’artrosi galoppante che ne limitava i movimenti non diminuivano la sua voglia di affetto.
Ad ogni mio ritorno accennava sempre a quegli scatti che preludevano alle nostre passeggiate, inarcando la schiena e saltando via.
Ma oramai era solo un accenno, per farmi piacere, per dirmi “continuiamo a giocare”.
Fino a quando, quasi paralizzato, il veterinario mi intimò di prendere l’estrema decisione.
Lo deposi nel sedile anteriore dell’auto e quando innestai la prima marcia Flek poggiò la testa nella leva del cambio.
Facemmo tutto il tragitto che ci separava dal veterinario in quella marcia: un espediente di Flek per rallentare il destino.
E mentre i miei occhi si inumidivano, Flek, sempre con il capo appoggiato sul cambio alzava i suoi quasi dicesse” lo so che lo fai per il mio bene, però, cavolo, mi dispiace lo stesso”.
Ritengo che oggi sia sempre più difficile avere rapporti equilibrati con gli animali.
Il caos delle città, i mille problemi contingenti, la frenesia del consumismo, non favoriscono una struttura sociale capace di ospitare gli animali e di vivere con essi salvandone la dignità.
Stiamo perdendo una parte importante di noi stessi e chissà quando ne diverremo consapevoli.
Mia figlia non ha fatto in tempo a conoscere Flek, posso solo parlargliene.
Al posto di una favola.
complimenti mi hai fatto piangere…