Riflessioni del “Mengo”

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Il Mengo festival non è solo un affollato appuntamento rock ma è uno spaccato di una generazione che sembra lasciata a se stessa e che vive tutte le contraddizioni del nostro tempo.
Girando tra il parco di via Alfieri si ha la sensazione di essere ritornati agli anni ’70. Le bancarelle sono sempre quelle ed, a volte, anche i gestori, invecchiati e forse un po’ ridicoli nell’insistere a presentarsi come eterni contestatori che vendono catenine.

Ma i visi dei giovani che hanno affollato i vialetti in attesa dei loro beniamini sono belli, anche quando traspare una malinconica insoddisfazione, anche quando ostentano quel bicchiere di birra che diventa come la coperta di Linus.
Le ragazze sembrano più solide, i ragazzini hanno visi incerti, quasi a disagio rispetto alla scioltezza femminile.

Quello che colpisce è l’energia che i protagonisti musicali mettono nel palco dal punk dei Fast Animals and slow kids alla bella Levante che non ha remore a cantare: che cosa ho fatto per meritarmi questa fame… di te
smentendo che questa sia una generazione senza cuore.
Poi il rock puro ma con testi alla Rino Gaetano degli Zen Circus per finire con il rapper Salmo.
Una energia che dal palco si fondeva con quella dei ragazzi presenti che sembravano solo aspettare un segno, un motivo, per incanalare tutte le loro speranze verso qualcosa.

Si, perché la sensazione di un osservatore attempato come il sottoscritto è quella che questa generazione sia lasciata a se stessa, dimenticata da una politica becera ed inutile, capace solo di rubare loro anche i sogni.
E’ uno spreco di energie, mi chiedevo, perché questa generazione non merita di essere presa in giro.
La musica è sempre stata un pretesto, che a volte ha cambiato costumi ed abitudini.
Ma mi è sembrato un popolo solo, con i loro telefonini, certo, ma senza prospettive.

Un mondo giovanile che merita più attenzione dai soloni della politica perché potrebbe apparire un nuovo Bob Dylan a spazzarli via nel vento!

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