Tra i personaggi stravaganti cittadini negli anni 60 e 70 l’Omino d’Oro era una figura caratteristica di Arezzo, dalla storia tragica dai risvolti drammatici.
Vestito tutto di color oro, scarpe comprese, anche il viso e le mani, con la sua bicicletta, anch’essa colorata d’oro, ogni giorno si trovava presso i principali incroci cittadini.
A volte anzichè d’oro si vestiva tutto di verde.
Si racconta che aspettasse il figlio disperso nel fronte russo e, per farsi riconoscere, si mettesse agli incroci delle strade proprio sotto i semafori, dipinto con quel colore sgargiante.
Spesso lo si trovava anche alla stazione, ad aspettare i treni, nella speranza che da uno di essi scendesse il figlio, di ritorno dalla guerra. Invano.
L’Omino d’Oro non parlava mai, non chiedeva niente a nessuno; stava in silenzio nella sua attesa senza fine.
Fu trovato morto in una piccola stanza in Via del Trionfo, vestito d’oro come sempre e con l’espressione serena.
Faceva il calzolaio in periferia e si vestiva tutto d’oro per farsi riconoscere dal figlio, nell’eventualità che non si ricordasse di lui, quindi con questo abbigliamento eccentrico non avrebbe potuto passare inosservato.

Si ringrazia per l’uso della foto Pietro Simoncini che con molti di questi personaggi tra cui l’Angiolina, ha avuto rapporti caritatevoli ed amichevoli riuscendo così a fotografarli; grazie a lui oggi possiamo raccontare le loro storie ed avere una testimonianza fotografica.