È d’uopo segnalare all’attenzione dei nostri lettori un tweet di una giornalista e scrittrice, pubblicato due giorni fa dal quotidiano digitale on line Lettera 43, di cui riportiamo i passaggi salienti:
” Fra una notizia e l’altra di pestaggi fascisti e di vilipendio a monumenti e lapidi ebraiche e partigiane a opera di gentaglia ignota ma che si presume neo-nazista, non mi abbandona un’immagine inquietante che mi si è fissata nella memoria un paio di settimane fa, mentre visitavo il mercatino dell’antiquariato di Arezzo dopo aver preso parte alla giuria dell’importante manifestazione orafa della città, OroArezzo, giunta nel 2019 alla 40esima edizione.”…….

“Nella marea di mobili falsi, di rottami e di robaccia, mi aveva colpito la quantità di opuscoli, di testi, di manifesti e di gagliardetti di epoca fascista.
Quelli sì che erano tutti veri.
E fieramente esposti ovunque.”……..
“Vendere libri di epoca fascista, e non intendo libri storici o di analisi sul fascismo, proprio vestigia di quegli anni, mi pare una fattispecie che miri alla sua esaltazione”:
esaltazione (o, se preferite, apologia), che la giornalista attribuisce ad un clima politico più favorevole rispetto a un tempo, dimostrato dalle sempre più frequenti dichiarazioni di uomini politici di primo piano, alcuni dei quali insospettabili, e “dalle filastrocche sulle presunte gesta positive dell’epoca mussoliniana che i nostalgici o gli ignoranti si ripetono l’un l’altro compiaciuti”, secondo cui Mussolini ha fatto anche cose buone.
“Non è vero che, a parte l’entrata in guerra e l’orrore delle leggi razziali, Mussolini abbia fatto cose buone.
Rovistando si trova sempre robaccia, come fra la maggior parte dei bancarellai di Arezzo”, così afferma e conclude la giornalista, citando un saggio di Francesco Filippi, in cui si contesta la bontà delle opere del fascismo.

Tralasciando, per carità di Patria, gli aspetti politici della vexata quaestio fascismo-antifascismo e bypassando i giudizi negativi ed offensivi sulla nostra Fiera Antiquaria (cui, invece, è sperabile che chi di dovere dia pronta ed adeguata risposta), osserviamo che, per nostra fortuna, l’esimia giornalista, nella sua visita in Fiera, non deve essersi spinta fino ai Giardini del Prato, dove si trova una delle più grandi brutture del fascismo: il monumento dedicato a Francesco Petrarca nel 1928 (anno VII dell’era fascista).

Chissà cosa avrebbe potuto scrivere, vedendo quel groviglio di figure, di oggetti e di animali, che il Sommo Poeta, dall’alto dei suoi quattro metri di marmo, domina desolato, come se volesse dire agli Aretini: è vero che sono nato qui, anche se per caso ; è vero che qui avete individuato e ricostruito la mia Casa, anche se io vi ho abitato solo nei miei primi due anni di vita ; è vero che mi avete dedicato una strada importante, un’Accademia illustre, un Liceo tra i più famosi d’Italia, un magnifico Teatro, ma, cari concittadini, tutto questo spreco di marmo (cit. Mario Salmi) lo potevate risparmiare !!