Domanda il perché al sindacato e aspettati di sentirti dire so ‘na sèga s’el Dòmo fa cùra e ci arriverai anche tu, anche se non hai fatto l’università, a capire che neanche la Cgil sa cosa dire.
Interpella un qualsiasi amministratore cittadino, un qualunque politico di Arezzo, e otterrai al massimo di sentirti dire tànt’èn ditto tant’èn fatto, su’ gùsti un ce se spùta e, forse, qualcheduno laureato aggiungerebbe, sforzandosi di essere più sensibile e meno indifferente me pare d’avello sintito dire, certo che tra aèllo e u ll’aère, ci averèbbe a currire.
Eppure, otè, damme retta, anche te saprai che Arezzo non molla e riparte ma sappi che ripartirà senza Università, privata del suo cosciotto migliore, il Dipartimento di Scienze della Formazione.
Da ora in poi, ad un citto o a una citta non si potrà più dire si ce vu ìcce, icce, si ‘n ce vu ìre ‘n c’re. Si dovrà dire: questo non si chiama ripartire, questo si chiama declino.
Covid-19 o non Covid-19, noi d’Arezzo sèmo da anni ed anni pè’ le bùche, viviamo una situazione precaria a tal punto che se la chiamassimo metamorfosi bisognerebbe ammettere la realtà: Arezzo si sta trasformando da farfalla in bozzolo, da crisalide in larva.
Ci fosse mai una volta che qualcuno offra ad Arezzo una parola pratica di aiuto mentre sono anni che su di noi si abbattono giudizi forieri di crisi e di retrocessione, proprio come il giudizio di Sodoma e della generazione ai tempi di Noè e del diluvio.
Mentre fumano ancora le macerie dell’epilogo della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio nata nella “Città dell’Oro” nel 1882, otè sirvita sul cosciotto più aretino dell’Università senese.
Poi dimme te se, tra tutti, non ci stanno riducendo allo stato larvale o no.