
Il “più grande poeta morente” di Arezzo ha partorito una nuova opera giovanile.
Parlo naturalmente di Filippo Nibbi, rubando la definizione di Flaiano per Vincenzo Cardarelli.
Solitamente non recensisco libri di poesia (sia perché non ci capisco assolutamente nulla, sia perché la mia vita è ormai virata verso il prosaico) ma dopo appelli, preghiere e financo velate minacce ho deciso di farlo spontaneamente e con immenso piacere.
Il Grullo Parlante / Poema pedagogico è il titolo emblematico di un piccolo libro, direi libello, pubblicato da Nibbi per i tipi della Giovane Holden Edizioni.
L’opera è perfetta sin dalla scelta della casa editrice.
Mi spiego meglio: cosa c’è di meglio se non il viatico di Salinger, e del suo celeberrimo romanzo di formazione, per contenere nero su bianco i versi d’un poeta quasi novantenne, fisico (è tuttora un bell’uomo) e matematico, fondatore della Fantastica, rifondatore della lingua italiana, eppure ancora con la mente d’un bambino (di un adolescente… voglio esagerare, visto il suo continuo essere innamorato).

Poi il titolo, icastico e profetico, e ancora il sottotitolo, “Poema pedagogico”, davvero inappuntabile. Ma pedagogico per chi?
Per noi, per i giovani, per l’autore stesso o addirittura per l’educazione in senso lato.
C’è sicuramente la volontà di omaggiare il maestro Gianni Rodari, pur con un taglio più surreale e di sogno, ma soprattutto il gusto “di inventare il possibile”, sempre, comunque, ad ogni costo.
Le quarantuno poesie che compongono il poema sono una rivelazione di freschezza, intuizione ed eleganza formale.
Apparentemente giocose, nascondono fra le righe i temi fondanti della nostra vita sulla questa Terra.

”Il canto del Grullo”, svela Nibbi, “è come quello d’un grillo.
All’inizio è accattivante, comprensibilissimo.
Poi diventa sottile, nascosto e misterioso.
Pare un invito a ricercare il senso perduto della felicità, della natura di Pinocchio quando era di legno… In una parola, della poesia.
Chi ritrova quel senso, forse imparerà a viverne una”.
E’ proprio vero, occorre recuperare quello sguardo che guarda tutto come fosse la prima e l’ultima volta, con lo stupore di un bambino un po’ troppo cresciuto.
Se l’uomo è Dio in rovina, allora Filippo Nibbi sta vivendo una scintillante decadenza (creativa).
Ecco che quest’anno venuto ha portato un’altra voce, quella di Filippo Nibbi anche in versione “decadente”.
Certi aretini, come me, hanno da ritenersi fortunati per averla – ancóra e àncora – questa voce.