Arezzo già in epoca etrusca era una città che aveva le sue piccole industrie di monili in oro e di armi, oltre che microfusione in bronzo.
Tali lavorazioni necessitavano di opifici in cui vi fossero forni con fuochi perenni, per raggiungere le fasi di fusione dei vari materiali.
Le lavorazioni si svolgevano anche di notte, con il rischio e il pericolo di incendi e di infortuni e di atroci e mortali scottature.
Secondo la tradizione greca la “chimaira”, Chimera, serviva a proteggere la città dalla montagna che sprigionava i fuochi perenni.
Fu ritrovata a San Lorentino, dove vi erano gran parte di queste piccole fabbriche,
Circa i monili in oro, gli etruschi conoscevano l’uso dei bassofondenti, riuscendo a creare stampi, con anima interna a terracotta che si fondeva a bassa temperatura.
Proprio questa specializzazione portò lo sviluppo in epoca romana del II secolo a. C., della terracotta a vernice nera a Cincelli, “cento forni”, e anche a Santa Firmina e nel I secolo a. C., le varie industrie dei vasi in terracotta corallina, esportati fino all’India.
Dal laboratorio industriale di Marco Perennio uscirono vari maestri d’arte di questo vasellame e proprio tra la zona di San Lorentino e in Castro erano situate queste fabbriche e più a Nord quelle per la fabbricazione degli orci, l’ Orciolaia.
Poi vi erano le fornaci dei laterizi a ridosso della città, zona Montefalco, e via Romana.
Circa le armi, la lega etrusca, Chiusi, Cortona e Arezzo utilizzava la produzione di Arezzo, che si protrasse anche in epoca romana; infatti in molte campagne di Cesare, lance, dardi, e spade furono di frabbricazione aretina ( Tito Livio).