Capitolo XIII – Rosa la monaca assassina
Nel 1965 uscì dal carcere Rosa ed entrò in convento, quello delle Benedettine in adorazione perpetua del Santissimo Sacramento, ad Arras, in Francia.
Ordine fondato da Caterina di Bar nel 1653. Il monastero di Arras, la città di Robespierre, sì, quel Maximilien che faceva parte dell’Assemblea Nazionale Francese, si macchiò di ogni orribile condanna a morte senza processo con il contraddittorio della difesa. Luogo di nascita di un assassino e lei, la nostra ex moglie di Bruno, assassinato dal veleno, topicida liquido propinatogli a piccole dosi da Rosa, fino a quando il cuore del marito si fermò.
Condannata all’ergastolo, ma dopo 15 anni, per concessione dei benefici dovuti al ravvedimento e alla sua espressa vocazione religiosa, fu rimessa in libertà.
Dopo due settimane di adorazione in clausura, le veniva a mancare il senso della sua personale adorazione, per dieci anni repressa, finché un secondino del carcere di Velletri, in cui era stata rinchiusa, l’aveva accontentata durante la permanenza in infermeria, quando lei aveva avuto l’asiatica ed era stata ricoverata, ma non l’aveva soddisfatta. Anzi, nella sua mente era sempre presente “Bacello”, il panettiere di Levane, che aveva maldestramente occultato il cadavere di suo marito in un fosso in periferia, nell’anno 1950, ad Arezzo.
Si smonacò e da Arras tornò in Italia presso una famiglia che abitava in una frazione semi-collinare di Imola, e lì trovò un lavoro come domestica.Continua a leggere
La famiglia era composta a quei tempi dal marito, un certo Conte Camillo dei Malacarne, di circa 80 anni, Pausania, la seconda moglie, di 54 anni, e sette figli: cinque della prima moglie, deceduta durante le lotte partigiane. Questa, infatti, si era invaghita a 40 anni di un capo brigata, diversi anni più giovane di lei, e lasciati i tre figli maschi al marito Camillo, si era data alla montagna, ma nelle rappresaglie aveva trovato la morte, in quanto morsa da una vipera in quel di Santa Sofia, al limite delle foreste Casentinesi.
Il primo dei figli, nato nel ’34, era Roberto, che aveva trovato lavoro come contabile nella Cooperativa Agricola di Ravenna e tornava a casa solo nel fine settimana. Era di carattere riservato e irreprensibile, non molto disponibile a socializzare, alto, magro e pallido di carnagione, con capelli a spazzola e occhi neri. Il secondo, simile al primo, ma colpito da paralisi infantile, era relegato su una sedia a rotelle. Il terzo, poco più che ventinovenne, si era dato alla musica e suonava in un complesso nella riviera adriatica: di bell’aspetto, un po’ più robusto e libertino, come si conviene a un romagnolo DOC.
Gli altri due figli, un maschio e una femmina, venuti uno dopo l’altro, frequentavano i primi anni delle superiori. Bernard, il primo, si era da poco fidanzato con una sua compagna di classe, e Lucrezia, la figlia, assomigliava tutta a sua madre, Pausania. Questa era una donna dall’aspetto umile, bionda, con occhi chiari e corporatura esile, ma di carattere di ferro: fu lei a prendere in mano la situazione e risollevare il Conte dall’abbandono di Clara, la brigatista.
Capitolo XIV – Rosa ritrova Bacello Superotto
Per circa un anno, Rosa si era perfettamente integrata nella famiglia del Conte Camillo Malacarne e di sua moglie Pausania. Era praticamente dedita alle cure del secondogenito, relegato sulla sedia a rotelle, figlio della prima moglie Clara, ormai deceduta da circa 21 anni. Anche Lucrezia la considerava una sorella maggiore, e lo stesso valeva per Bernard.
Un giorno, mentre rimetteva a posto i libri in camera di Bernard, trovò nascosta dietro il vocabolario Calonghi di Latino una bobina in Super 8 con una custodia che raffigurava il suo “Bacello” in una posa pornografica con una donna, entrambi nudi. Il titolo era Il colosso di Rodi risorge sempre. Guardò chi lo aveva prodotto e vide che era una società di Bologna: “Sinehatu de la Sorbona Srl”.Continua a leggere
Non disse niente, ma il giovedì prese il treno e si diresse a Bologna. Consultando la guida dei Monaci, trovò l’indirizzo della società e, dopo un po’ di reticenza da parte della segretaria, riuscì a farsi dare l’indirizzo del secondo lavoro di Paolo, il cosiddetto “Bacello”.
Lavorava in zona Molino Parisio presso un panettiere: era diventato specializzato nelle rosette e nei filoncini.
Dopo un attimo di sorpresa, Rosa e Paolo si riabbracciarono. Rosa, telefonando al Conte, prese ferie anticipate, e altrettanto fece Bacello. Con la Fiat 850 si recarono in Appennino, verso Roncobilaccio, e prenotarono una camera per una settimana, proprio poco dopo l’uscita dall’autostrada.
Fu una settimana di passione e consumismo sessuale fino all’inverosimile, tanto che al sesto giorno Rosa cercò di svegliare Paolo, il Bacello, ma non ebbe riscontro: era morto per infarto.
Di Rosa, ormai deceduta da 25 anni, si sa che negli ultimi tempi si era dedicata alla produzione di barattoli di marmellate per le mogli scontente, allegando a ciascun barattolo una pergamena in cui indicava ricette dolciarie per terapie… eliminanti!
Il Mistero del Fosso: Capitolo XII