Un tempo la corsa all’oro trasformava ex artigiani in imprenditori, arricchiva famiglie e creava un’economia fiorente. Come riporta Avvenire: oggi, al posto di padroncini e partite Iva, si trovano lavoratori bengalesi e pakistani stipati in laboratori nascosti, mentre il distretto di Arezzo oscilla tra nostalgia e precarietà.
Le comunità del Bangladesh: molti di noi sono sfruttati, servono mediatori che insegnino l’italiano. Le imprese: illegalità da combattere, ma per noi i timori vengono dagli Usa.
Tranquilli, nessun panico! Trump torna, i mercati tremano, le imprese piangono, ma nel frattempo il dollaro si rafforza e si mangia già il 5% dei dazi che, per ora, sono solo uno spauracchio. Nel frattempo, ad Arezzo, il settore orafo scopre di avere qualche minuscolo problema. Ricordate quando l’oro arricchiva dinastie industriali e trasformava artigiani in capitani d’azienda? Ecco, oggi invece arricchisce chi ha inventato il caporalato in versione boutique: lavoratori bengalesi e pakistani, nascosti in magazzini blindati, pagati il minimo indispensabile per sopravvivere (forse).
Ma niente paura! Gli imprenditori hanno trovato una soluzione: importare più manodopera dall’Asia! Perché gli italiani, chissà per quale bizzarra ragione, non vogliono più passare ore e ore a saldare e lucidare metalli preziosi per stipendi da fame. E se qualche lavoratore osa chiedere diritti? Beh, prima impari l’italiano, poi ne riparliamo.
Intanto, la Turchia investe, finanzia e sostiene la propria industria con soldi pubblici. E in Italia? Si organizzano convegni, si fanno appelli alla legalità e si rilasciano dichiarazioni solenni su integrazione ed etica. Strategie vincenti, senza dubbio! Resta solo da capire se il distretto orafo continuerà a brillare… o se sarà l’ennesima eccellenza italiana che finirà direttamente nel dimenticatoio, tra un dazio che non c’è e un laboratorio clandestino che tutti fingono di non vedere.
Complimenti per l’occuparsi della questione. Chissà se diventeremo come Prato coi cinesi. Come Latina e tanti altri posti con gli schiavi agricoli. E’ almeno il secondo articolo che esce sulla stampa nazionale sulla faccenda…la stampa locale come sempre ci parla del nulla. Vorrei vedere comunque se in una valutazione comparitiva d’insieme l’industria nostrale è meno sovvenzionata di quella turca. Per intanto, e per le strane alchimie internazionali, le esportazioni aretine in Turchia sono ingentissime.
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