No, non è un film di Sergio Leone. Giovanni Martini, originario di Sala Consilina, era un ex trombettista garibaldino trasferitosi in America due anni prima. Arruolato nell’esercito statunitense, faceva parte di una delle dodici compagnie impegnate nella guerra contro i nativi americani nel Montana nel 1876. Tra gli italiani presenti c’erano anche l’ufficiale Carlo di Rudio, di Belluno, Giovanni Casella, di Roma, e Agostino Devoto, di Genova.
La comunicazione tra loro non era semplice, ma proprio a Giovanni Martini (registrato come “Jhoan Martin”) fu affidato il compito di avvisare il generale George Armstrong Custer della posizione della fanteria, in previsione di una possibile ritirata. Tuttavia, per ragioni non del tutto chiare, Custer si lanciò in un attacco avventato, ricordando, in un certo senso, la sorte di Buonconte da Montefeltro nella battaglia di Campaldino.
Cavallo Pazzo, a capo delle tribù Lakota Sioux, Cheyenne e Arapaho, riuscì, pur con forze numericamente inferiori, a mettere in difficoltà il 7° Cavalleria. Il 25 giugno 1876, le cinque compagnie sotto il comando di Custer furono sopraffatte e il generale venne ucciso nella battaglia di Little Bighorn.
Giovanni Martini fu poi interrogato da una commissione militare d’inchiesta, che attribuì la disfatta all’impulsività di Custer, già noto per la sua indisciplina durante la guerra civile americana.
La vicenda insegna che parlare la stessa lingua è essenziale, sia in battaglia che nella vita. Quanto agli italiani in Montana, sopravvissero tutti… da perfetti italiani!