Quando mi addormento, mi chiedo: cosa accadrà dopo? Mi risveglierò? Dove andrò, chi vedrò? Forse entrerò nel mondo dell’aldilà, quel sottile confine tra la vita reale e l’ignoto, un territorio fatto di ricordi, illusioni, esperienze vissute o solo immaginate.
Da bambino, quando avevo la febbre alta, mi trovavo immerso in un mare torbido e melmoso, come se un’onda mi travolgesse trascinandomi sott’acqua. Solo quando il mare diventava limpido e calmo capivo che la febbre era passata, e allora potevo godermi la pace dell’acqua intorno a me.
Uno dei miei sogni ricorrenti mi porta in due diverse stazioni sciistiche. La prima, situata su un ex vulcano a sud di Perugia, è su due livelli: al primo c’è un rifugio in legno, avvolto dal calore umano, simile a una sauna; accanto, una pista – anzi, un fossato – in cui scendo seguito da Tommaso e altri amici. La seconda stazione si estende quasi fino alla costa: la raggiungo dall’alto, e le sue piste si snodano lungo la valle, costeggiando una strada punteggiata di alberghi. Ogni volta che mi trovo in cima, respiro l’ampiezza del paesaggio.
Nella realtà, sia sulle Alpi che alla Burraia, ho sempre amato esplorare nuovi tracciati, tra abeti, rocce e insidiose radici di faggi, assaporando la natura e la bellezza della neve. Una volta, a Bormio, dopo una mattinata con una principiante, mi avventurai fuori pista, ritrovandomi sulla celebre “Stelvio”. Un’altra volta, con mio figlio, percorremmo un itinerario dalla Burraia fino al Passo della Calla. E poi c’è quel giorno in cui, da solo, mi ritrovai in un torrente gelato e innevato, con pareti di roccia ai lati. Dopo tre ore di sci, finii ai piedi del Col dell’Iseran. Fortuna volle che un contadino con una slitta trainata da cavalli mi riportasse vicino a una seggiovia.
Paura? Incoscienza? No. Ero semplicemente io, immerso nella natura, nella sua forza primordiale. In quei momenti, sentivo la mia vita vibrare con essa. Ed ero sveglio. Proprio come ora.