LA MIA AMERICA
Era il 1992. Dopo un lungo tragitto attraverso l’Arizona e parte del New Mexico, passando da Flagstaff, Sedona, le meraviglie di Red Rock, Phoenix, un tratto della mitica Route 66 e poi giù lungo la Interstate 5 verso El Paso, arrivammo a San Diego alle prime ombre della sera. Alloggiavamo all’hotel Milano, vicino al vecchio terminal della ferrovia Santa Fe. Avevamo ormai attraversato quasi tutta l’Arizona, costeggiato il New Mexico e messo piede nella Bassa California. Il mezzo? Un pulmino GM con cambio automatico.
Il gruppo era variegato: la mia ex moglie, una nostra amica con una conoscente romana, una ragazza di Firenze che doveva essere la “capo spedizione”, e un giovane romano. Io, a 46 anni, ero il più anziano e anche l’autista ufficiale: tante miglia macinate senza mai sbagliare strada, fatta eccezione per una sosta pranzo fuori Phoenix e un gelato a El Paso.
Appena entrati nella hall dell’hotel per registrarci, mentre consegnavamo i documenti alla reception, ecco l’imprevisto. Un sibilo improvviso, seguito da uno sparo. Poi un altro. E un altro ancora. Gridai d’istinto: “Tutti a terra!”, e mi coprii la testa con le mani.
Un poliziotto privato stava inseguendo un ladro che aveva appena rubato in un negozio vicino. Il fuggitivo era entrato nel nostro hotel e, risalendo una scala interna, si era rifugiato su un ballatoio sopra la hall. Da lì era riuscito a dileguarsi su un tetto attiguo attraverso una porticina.
Il poliziotto sparò almeno cinque o sei colpi con una pistola a tamburo, cercando inutilmente di colpirlo. Non ci furono feriti, ma l’adrenalina era alle stelle. In quel momento, compresi veramente dove mi trovavo: ero in America.