Nella città che si fregia di aver dato i natali a Piero della Francesca e Giorgio Vasari, l’arte oggi trova rifugio… in una discarica. Anzi, nel più classico dei depositi comunali, quello di via Cesti, dove da tempo giace dimenticato il “Cavallo della Croce” dell’artista Gustavo Aceves. Opera donata con entusiasmo nel 2019, promessa al decoro cittadino, destinata a splendide piazze e cerimonie culturali. Finita, invece, accanto a calcinacci e ruggine.
Ora i carabinieri forestali e l’Arpat hanno fatto irruzione – sì, un blitz – nel deposito. Ma non per il cavallo. No, quello è diventato arredo urbano del degrado, troppo scomodo da sistemare, troppo ingombrante da valorizzare. Il vero interesse degli inquirenti? I detriti. La ferraglia. I materiali accumulati in modo sospetto, che sembrerebbero raccontare una gestione allegra del magazzino comunale. Magari non sarà reato, ma sicuramente è simbolo.
Simbolo di una città che riceve un dono artistico e lo seppellisce sotto l’indifferenza. Il Cavallo, secondo le promesse, doveva essere esposto in piazza San Francesco. Poi, per carità, una “sosta temporanea” in piazza della Badia. Che si è trasformata in oblio. E quando i cittadini – su tutti Raul Dominici – hanno denunciato su Facebook lo scempio, ecco il solito balletto delle dichiarazioni: “era in prestito per Agrigento”. Agrigento, capitale della cultura 2025, che lo aspetta ancora.
Nel frattempo, Arezzo guarda altrove. Si entusiasma per i nuovi robot nell’ex Del Tongo – ché l’industria è più comoda da celebrare dell’arte – e lascia che una scultura internazionale marcisca come un vecchio elettrodomestico abbandonato.
È ironico che un’opera intitolata “Cavallo della Croce”, nata per dialogare con la Leggenda della Vera Croce, finisca crocifissa proprio dalla burocrazia, dall’inerzia, dalla miopia politica. E a poco servono i silenzi del Comune e i “no comment” degli inquirenti. L’immagine è lì, immortale: un cavallo in gabbia, tra i rifiuti. Una città che fa finta di non vederlo. E una domanda che resta: quante altre opere, quanti altri simboli, stiamo lasciando a morire nel silenzio?
Benvenuti ad Arezzo, dove l’arte non è solo dimenticata. È disprezzata.