Una volta si aspettava una lettera.
E non una notifica.
Aspettarla voleva dire controllare la buca cento volte, come se il postino potesse arrivare di nascosto.
C’erano parole scritte a mano, con le “e” rotonde e le “i” col puntino ben centrato.
Ogni frase pensata. Ogni errore indelebile.
Non si cancellava un “ti amo” col backspace.
Se lo scrivevi, era vero. O diventava vero nel tempo che passava tra una busta chiusa e una risposta.
Oggi basta un vocale. Uno di quelli che partono senza nemmeno un “ciao” iniziale, e finiscono con un “boh, fammi sapere”.
La lettera ti insegnava la pazienza.
Il vocale di oggi ti insegna a stare muto mentre l’altro si ascolta da solo.
Tu te le ricordi le lettere d’amore? Quelle vere, che si mettevano sotto al cuscino invece che nel cestino?