Ci sono momenti in cui le parole si inceppano, si aggrovigliano come fili spezzati, incapaci di raggiungere l’altro. Si vive sotto lo stesso tetto, si cammina nella stessa casa, si condivide il tempo, eppure si diventa isole lontane, separate da silenzi che fanno più rumore di mille grida.
È l’incomunicabilità, quella sottile barriera che si alza senza avvisare. Non serve alzare la voce, né rincorrersi a spiegazioni: ci si perde già prima, nella fatica di sentirsi davvero. Accade tra sconosciuti, certo, ma ancor più dolorosamente accade tra chi si ama. Genitori e figli, mariti e mogli, fratelli. Persone che, pur volendosi bene, non riescono più a trovarsi nello sguardo dell’altro.
A volte il peso della vita, delle responsabilità, delle incomprensioni non dette, si deposita come polvere sugli affetti. E quella polvere, giorno dopo giorno, diventa crosta dura, impenetrabile. Non è colpa di nessuno e allo stesso tempo è colpa di tutti: è il tempo che fugge, è il nervosismo che sale, è la stanchezza che spegne la voglia di spiegarsi.
Chi prova a parlare spesso si trova davanti muri di impazienza o di disinteresse. Chi prova ad ascoltare spesso è già pieno di pensieri propri, incapace di accogliere davvero. Così, chi chiede aiuto sembra pretendere, chi offre una parola sembra accusare, chi tace sembra condannare.
Eppure, basterebbe poco per sgretolare quel muro: a volte, basterebbe un abbraccio. Un gesto spontaneo, senza parole, capace di sciogliere dolori, ferite, vuoti antichi. Ma quando la distanza fisica separa, come accade tra chi si trova in luoghi diversi, anche questa semplice cura diventa impossibile. Allora resta il desiderio, resta l’attesa silenziosa di un incontro che possa finalmente colmare quella lontananza.
Forse è per questo che alcuni scelgono di scrivere. Scrivere è come tendere un filo sottile che supera il boato delle parole urlate, il muro delle orecchie chiuse. Scrivere consente di fermare un pensiero prima che si deformi nella rabbia, di renderlo nitido, sincero, nudo. Chi legge, se vuole, può accoglierlo senza sentirsi attaccato. Può scegliere il momento, il respiro giusto, per aprire quella porta che a voce resterebbe chiusa.
Non sempre funziona. Non sempre viene letto. Ma scrivere è già un atto d’amore: è dire “ci sono”, “ti vedo”, “ti parlo” anche quando la voce non riesce più a farsi ascoltare.
In fondo, la comunicazione vera è come un ponte sottile sospeso sopra un abisso. Ci vuole coraggio a costruirlo, pazienza a mantenerlo saldo, umiltà a percorrerlo senza pretendere di avere ragione.
Chi trova la forza di attraversarlo, anche solo una volta, sa che ne vale la pena. Sa che l’amore, a volte, non si sente nelle grandi dichiarazioni, ma nel piccolo gesto di chi, nonostante tutto, ancora prova a raggiungere l’altro.
Perché chi ama non smette di parlare. Anche quando viene frainteso, anche quando trova il muro.
Chi ama continua a cercare una strada.
Anche solo scrivendo.
Anche solo sperando.
S.S.C. ~ AI